La GNS 2005, coordinata a livello nazionale dalla Società Speleologica Italiana, ha avuto luogo il 23, 24 e 25 settembre e, per quest’anno, è stata condivisa con le giornate “Puliamo il Mondo”, organizzate in Italia da Legambiente. Nella nostra Regione l’iniziativa ha coinvolto due province, quella pordenonese e quella triestina.
In provincia di Pordenone ci si è concentrati sulla zona di Pradis (Comune di Clauzetto) dove oltre una ventina di speleologi dei tre gruppi locali (Pradis, Sacile e Pordenone) ha provveduto alla pulizia di alcune doline e fratture situate a breve distanza dalle celebri Grotte Verdi. Il cassone del camion messo a disposizione dal Comune è stato riempito per ben quattro volte, con materiale di ogni genere: lavatrici, batterie, reti del letto, resti di un’auto completa, ecc. Curiosa la grande quantità di bottiglie, per lo più di birra, rinvenute nelle doline a fianco della strada, che quasi certamente vengono gettate dalle auto di passaggio. La mattinata di pulizie si è conclusa con un ottimo pranzo offerto dal G.S. Pradis nella sede sociale.
In provincia di Trieste si è deciso invece di procedere alla pulizia della storica Grotta degli Occhiali (numero di catasto: 162/274 VG), per anni utilizzata come discarica abusiva, di cui si allega in coda all’articolo un’esaustiva scheda, opera di Dario Marini.
Quasi trenta metri cubi di spazzatura, 3 giornate di lavoro, 45 speleologi, una ventina di altri volontari, una trentina di allievi di una scuola accompagnati dai loro genitori, una quindicina di ragazzi del Collegio del Mondo Unito: questi i numeri dell’iniziativa. E infatti dal caratteristico portale della cavità sono uscite immondizie di tutti i tipi: frigoriferi, cucine a gas, lavatrici, scarpe e scarponi da sci, copertoni, batterie d’auto, letti, materassi, porte, macchine da scrivere, tantissime calze di nylon, carcasse di motorini, rotoli di filo spinato; insomma un sacco di cose che svariate persone ignoranti hanno pensato bene di gettare in questa grotta attraverso il suo pozzo di accesso, profondo 10 metri. Un’operazione facile per chi, convinto che quello che non si vede non danneggia, non ha minimamente pensato che l’ambiente naturale non si ferma al suolo sul quale si cammina, ma che comprende anche un sottosuolo ricco di falde acquifere e di ambienti troppo fragili per essere sottovalutati in questo modo. La bonifica è stata effettuata dagli speleologi di alcuni dei gruppi aderenti alla Federazione Speleologica Triestina che si sono adoperati con paranchi e teleferiche a recuperare il pattume depositato all’interno della grotta. Il grosso del lavoro si è svolto sabato 24 settembre, ma altri due giorni si sono resi necessari per le operazioni di installazione e di smantellamento delle apparecchiature usate per la bonifica. Tutto il materiale recuperato è stato poi trasportato in prossimità della strada dove, assieme ai volontari di Legambiente, è stata effettuata la differenziazione. Il materiale è stato poi recuperato dall’Acegas e trasportato alla discarica.
La Federazione Speleologica Triestina non è nuova a operazioni di bonifica di questo tipo e ogni gruppo aderente effettua regolarmente opere di pulizia nelle cavità che vengono visitate. Nonostante questo nel solo Carso in provincia di Trieste, sulle oltre 2600 grotte censite, circa 150 risultano inquinate e quindi a rischio ambientale.
Fondamentale è stato il supporto e la collaborazione del Comune di Duino Aurisina che fin dai primi contatti ha dimostrato entusiasmo e appoggio ai volontari che sono stati affiancati anche dalla Protezione Civile. L’operazione ha goduto anche del patrocinio della Provincia di Trieste.
Tra le numerose cavità naturali del Carso triestino sono meno di una decina quelle che presentano il maggior pregio estetico all’imbocco anziché nella parte sotterranea. In un’eventuale classifica della bellezza epigea, la Grotta degli Occhiali sarebbe preceduta soltanto dalla Grotta dei Cacciatori di Slivia e dalla Grotta degli Archi di Monrupino, situate peraltro in luoghi fuori mano e pertanto note solo ai praticanti la speleologia. Grazie alla vicinanza all’abitato di Santa Croce e ad una strada frequentata, la cavità venne individuata già agli inizi del ’900, quando Eugenio Boegan ne prese le misure il 26 dicembre del 1903; nella sua relazione egli definisce il pittoresco imbocco “splendido tipo di marmitte carsiche” spiegandone l’origine con l’azione di “materiale terebrante in movimento vorticoso”, un’ipotesi d’immediata conferma visiva e comunque convincente di una più banale erosione selettiva. Bisogna considerare che i vani oggi praticabili sono verosimilmente solo il reliquato di un paleosistema ipogeo di ben maggiori dimensioni, ridotto all’attuale modesto sviluppo da fenomeni di crollo e dall’intervento dell’uomo; infatti vengono scaricati qui da sempre eterogenei materiali, un tempo detriti di spietramento dei campi ed oggi sostanze nocive ed inquinanti, in modo che un passaggio esistente fino al 1940 risultò ostruito nel 1953, data del secondo rilevamento del Club Alpinistico Triestino. Oltre all’interesse morfologico, rappresentato dalle caratteristiche occhiaie, la Grotta ha una piccola storia che parla della sua utilizzazione da parte dei locali quale ricovero durante la Prima Guerra Mondiale; nel 1916 l’esercito austro-ungarico aveva messo in postazione presso il paese un poderoso pezzo d’artiglieria per colpire le linee nemiche attorno a Monfalcone, provocando la reazione italiana, condotta anche con bombardamenti dal cielo. Demolito un grande masso che occludeva parte della bocca Ovest, l’accesso verso il fondo venne attrezzato con scale in legno, mentre una sorta di tettoia di frasche occultava il luogo all’osservazione aerea; sembra che la cavità abbia svolto la stessa funzione di rifugio anche in occasione dei bombardamenti del 1944, epoca alla quale risalirebbe la scalinata in cemento tuttora esistente, ma su queste vicende non vi sono testimonianze attendibili. Nella generale e preoccupante situazione di degrado del Carso triestino (divenuto un territorio d’elezione per discariche d’ogni sorta), la Grotta degli Occhiali si propone come un prezioso àmbito naturale degno di esser riportato all’antico decoro e quindi da tutelare attraverso qualche provvedimento che scongiuri il ritorno alla deplorevole condizione di prima.