Un nuovo test di tracciamento sull’area del Musi (per lo meno per me in quest’area forse il definitivo, salvo future scoperte clamorose) si è recentemente concluso con interessanti risultati. Il test, coordinato dal sottoscritto coadiuvato dalla Brun, è stato svolto questa volta con la collaborazione degli speleologi della Società Adriatica di Speleologia, previa informativa all’Ente Parco Naturale delle Prealpi Giulie. Dopo lo studio dei campioni dei bianchi di riferimento e la predisposizione dei siti, si sono installate due sonde fluorimetriche: una al Fontanon di Barmàn, l’altra, con la disponibilità del Consorzio Acquedotti Friuli Centrale di Udine (CAFC), nel mixer dei 21 dreni e del pozzo di captazione delle Sorgenti del Torre. Inoltre, le Sorgenti in sinistra del Torrente Voidizza sono state tenute sotto controllo e regolarmente campionate. Onde effettuare il test, il giorno 11 ottobre 2005 è stata eseguita un’iniezione di Uranina nell’Abisso Pahor sul versante N del Musi; in un ramo superiore, quindi non sul fondo, come nei precedenti test.
Per la prima volta si è potuto realizzare nell’area un test quantitativo, dato che i due precedenti, del 1997 e del 1999, si potevano considerare solo qualitativi e semiquantitativi. L’unico test quantitativo era stato effettuato nel 2003, ma limitato alla verifica di un particolare problema: la circolazione sotterranea nella regione d’uscita della Grotta dell’Uragano.
Il monitoraggio è stato effettuato nel periodo dal 28 settembre 2005 al 13 gennaio 2006 (un tipico “longer-term tracing”), durante il quale sono state eseguite misure di portata e fisico-chimiche in situ (T°C, pH, Cond20°C), nonché campionamenti delle acque sotterranee della zona. Inoltre, sulle acque non soltanto sono state eseguite analisi chimiche con vari metodi (titolazione, spettrofotometria AA, UV-VIS, etc.) dei parametri classici (durezza, TDS180, CaHCO3-, K, Na, Ca, Mg, Cl-, SO42-, NO3-, NH4+) ma, per la prima volta, anche analisi degli elementi in traccia mediante spettrofotometro di assorbimento atomico (B, Si, Li, Sr, Cd, Co, Cr, Ni, Pb, Mn, Fe, Cu), nonché analisi degli isotopi stabili leggeri (18O, 2H, 13C) mediante spettrometro di massa. Il tracciante è stato rilevato al Fontanon di Barmàn con curve d’incremento/decremento, direi, interessanti. Dai primi dati, il risultato è in linea, a livello generale, con le conoscenze acquisite in precedenza durante un regime idrico non molto dissimile, mentre nella sua specificità esso indica aspetti meno conosciuti; le analisi fluorimetriche sui campioni d’acqua e sugli eluiti sono ancora da fare perciò non c’è ancora un risultato definitivo; i dati delle analisi chimiche e geochimiche sono tutti da interpretare, ma penso offriranno un quadro comparato delle tre sorgenti principali.
La montagna carsica del Musi, non c’è dubbio, ha dato notevoli soddisfazioni alla speleologia regionale. Ciò a mio parere è avvenuto esclusivamente grazie ad una reale sinergia tra esploratori e studiosi, rinnovatasi in varie forme nel tempo, il più delle volte in modo naturale, altre con qualche singulto. Ma pur sempre si è andati avanti e per la speleologia è questa, alla fine, l’unica cosa che veramente conta. Da questa attività, ben sei pubblicazioni scientifiche sono state tratte, da cinque autori (Anselmi, Brun, Cancian, Colla, Gemiti, Semeraro), in cui sono confluiti i risultati delle ricerche, in particolare quelli sulla speleologia fisica (carsismo, idrogeologia, etc.) che ho avuto la soddisfazione di coordinare grazie all’aiuto di tanti amici; poi quelli biospeleologici. Studi che sono stati portati non solo in ambito nazionale, ma pure in sede internazionale. Senza contare le parallele azioni divulgative (delle quali però io non ho alcun titolo) che hanno accresciuto la visibilità dei risultati.
I risultati di quest’ultimo studio, opportunamente elaborati, saranno pubblicati in futuro.
Credo di poter affermare che in questa regione, oggi, siamo veramente avanti nel campo delle tecniche di tracciamento: lo dico in tutta obiettività giacché personalmente ho coordinato ormai otto test in terreni carsici, senza contare l’esperienza maturata con i test negli acquiferi porosi della pianura friulana. Si tratta di tecniche tra le più “risolutive” nell’idrogeologia carsica, certo non facili, anzi impegnative, innanzi tutto per l’indispensabile possesso di uno specifico know-how tecnico e scientifico, poi per la necessaria possibilità d’impiego d’idonee strumentazioni e attrezzature di laboratorio. C’è infine l’esigenza di disporre di un’organizzazione in campagna (risorse umane e tecniche) che, proprio nel caso delle aree carsiche, può essere “pesante”. Per tale ragione ritengo, almeno dalla mia esperienza, indispensabili le partnership con i gruppi speleologici: azioni, quindi, che si sposano molto bene con una moderna speleologia (almeno come l’intendo io). Una speleologia che come naturale missione “esplora e studia” (altrimenti, che razza di vera speleologia è!?).
Ricordo, che sono sempre a disposizione di tutti, nei limiti delle mie possibilità, per dare una mano e stabilire collaborazioni con chi vuole approfondire gli studi sulla circolazione delle acque sotterranee carsiche in regione, specie nelle problematiche in cui si rendono indispensabili le tecniche di tracciamento (ma anche nei monitoraggi chimici e geochimici), contribuendo a far sì che le fatiche profuse nell’esplorazione da parte dei nostri giovani (verso i quali noi “vecchi” speleologi dobbiamo assumerci determinate responsabilità), possano trovare un maggior riconoscimento dando così, e per quel che si può, un senso veramente compiuto alla speleologia che viene praticata. (RS)