I primi di aprile di questo 2006, in una fredda primavera, Giuseppe Milani, Pino per gli amici, ci ha lasciati per sempre. La stragrande maggioranza degli speleologi d’oggi non credo sappia chi fu. Non fu, infatti, uno speleologo nel senso stretto del termine, almeno come lo intendiamo noi. Fu però senza dubbio uno dei più significativi innovatori della speleologia triestina. La sua figura comparve in quello straordinario laboratorio di idee che fu il Gruppo Grotte dell’Associazione XXX Ottobre fine anni ’60-inizio anni ’70, cioè ormai più di 35 anni fa, quando, per un breve ma felice periodo speleologia di esplorazione e speleologia di ricerca si sposarono e produssero alcuni frutti duraturi, anche se i loro semi germogliarono, poi, in altre terre. Pino Milani, già allora prestigioso tecnico dell’allora Istituto di Fisica dell’Università di Trieste, si accostò alla speleologia, chiamato da Dario Favretto (anche lui scomparso anni fa), per ideare una stazione di monitoraggio idrometrico della falda idrica scoperta pochi anni prima nella Grotta Lindner dal Gruppo Grotte “Carlo Debeljak”. Pino Milani, appassionandosi al mondo della speleologia, che frequentò per una decina d’anni, ed agli studi sull’idrologia carsica, non solo progettò la stazione, la costruì, realizzando una campana idropneumatica e tutta la strumentazione di corredo, poi fu uno dei protagonisti dell’installazione del sistema di misura e interpretatore dei primi dati. Di questo impegno rimangono le sue pubblicazioni scientifiche, quale coautore. Uomo buono, schietto, schivo, estremamente preparato, mente scientifica per eccellenza, fu uno dei protagonisti indiscussi della speleologia di allora. Poi, avviato il sistema e concluso dopo alcuni anni il primo ciclo di misure idrologiche (ancor oggi preziose!), il suo impegno via via si ridusse, non per il suo disinteresse per la speleologia ma, secondo me, perché la nostra speleologia, poco lungimirante, non gli chiese più aiuto, incapace di utilizzare e sfruttare le sue grandi capacità. In quegli anni, ricordo, partecipai domenica dopo domenica ai lavori nella Grotta Lindner, dove nacque, tra questo non-speleologo ma forse molto più speleologo d’altri, e me, ed altri miei compagni, amicizia e stima, nel lavoro sul campo, in grotta, nelle discussioni in sede e nel privato. L’odierno Dipartimento di Fisica e la Sezione di Trieste dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare lo ricordano “per le sue vaste conoscenze tecniche e grandi doti umane che hanno contribuito alla formazione di almeno due generazioni di tecnici e fisici”; la speleologia invece lo può ben ricordare come una delle pietre miliari del nostro ultracentenario cammino, e ciò nel solo breve spazio di pochi anni. Oggi, possiamo disporre di sofisticate sonde multiparametriche che grazie all’elettronica ed ai computer ci consentono di scaricare migliaia e migliaia di dati idrologici. A quell’epoca, nulla di tutto ciò esisteva, ma fu lo stesso creato “in casa”, con i mezzi, gli strumenti, la meccanica e le conoscenze elettrotecniche di allora, da Pino Milani che fu il primo, in assoluto, a monitorare in tempo reale sequenze ininterrotte di eventi fisici in grotta, consentendoci di guardare oltre il cosiddetto orizzonte, cioè verso una nuova speleologia che le nuove leve, i nuovi studiosi dell’epoca, iniziavano a intraprendere. Un cammino che poterono intraprendere anche grazie a lui, al suo insegnamento, al rigoroso metodo d’approccio scientifico che c’inculcò. Addio Pino, tutti gli amici, tutti i vecchi speleologi ti abbracciano. (RS)