Nella società civile, globalizzata, che ormai vive il quotidiano, nemmeno la speleologia sfugge alle nuove regole: la notizia della morte, nel dicembre 2005 a Milano, di un importante speleologo triestino del passato, Luigi de Martini, è sfuggita alla stragrande maggioranza degli appartenenti alla nostra piccola comunità. Eppure, Luigi de Martini ha costituito uno dei punti di riferimento della speleologia triestina di quest’ultimo dopoguerra; per alcuni, un modello di speleologo da imitare. Seppur tardivamente – e ce ne doliamo – abbiamo voluto doverosamente ricordarlo, ma soprattutto abbiamo inteso far conoscere alle nuove generazioni, ai più giovani, la sua azione nella speleologia, affinché questa possa illuminare le vere strade che la speleologia regionale, e soprattutto quella triestina, deve ripercorrere. Luigi de Martini (“barba” per i suoi vecchi compagni d’esplorazione) nasce a Trieste nel 1927. Nell’ultimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, dalla sua città occupata dalla Germania nazista, è inviato ad un campo di lavoro presso Fiume (ora in Croazia). Successivamente è assunto, come geometra, all’Ufficio Tecnico del Comune di Trieste. Giovanissimo, quindi anch’egli nella più pura tradizione triestina, alla conclusione del conflitto, ancora in un “difficile” Carso per chi voleva andare in grotta, con le foibe “ancora calde” come si diceva allora, inizia a praticare la speleologia, andando a formare il nucleo di quelli che, nei primi anni a seguire, saranno i protagonisti della ripresa della speleologia triestina (alcuni tuttora in attività), separatamente nei diversi gruppi grotte che si costituiranno o che riprenderanno l’attività dopo il conflitto, come i vari Pinzani, Forti, Skilan, Mosetti, Leani, Tommasini, Bartoli, Ortolani, Pipan, Caranzulla, Nicon, Mottola, Benedetti, e così avanti. Luigi de Martini, in pochissimi anni grazie ad innegabili doti, tecniche e culturali, praticando la speleologia dapprima con amici poi accostandosi, per un breve periodo, nel 1949, alla Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie che nel 1948 aveva ripreso ufficialmente ad operare, dove conosce i fratelli Maucci (Arrigo, Walter e Corrado), diviene un “uomo del futuro” per la giovane, quasi “rinata”, speleologia triestina del dopoguerra. Nel 1950 sposa Vera Remonti, sua compagna anche nell’attività speleologica. Immediatamente attratto dalle potenzialità di una speleologia tecnica e scientifica moderna, propugnata dal suo compagno d’esplorazioni Walter Maucci, s’incammina senza indugio lungo quella via, ed è così tra i fondatori della Sezione Speleologica della Società Adriatica di Scienze nel dicembre del 1950, dove assume la carica di Direttore tecnico, mentre il prof. Sergio Morgante ne diverrà Presidente e il prof. Walter Maucci Vicepresidente. Luigi de Martini, nella Sezione Speleologica (che diverrà Sezione Geo-speleologica nel 1951) avvierà, di concerto con Maucci, un vasto programma d’esplorazioni finalizzate alla realizzazione di ricerche di geomorfologia ed idrogeologia carsica, sul Carso e nei maggiori abissi d’Italia dell’epoca. Infatti, immediatamente, nel 1951, organizza, congiuntamente al Gruppo Triestino Speleologi ed al promotore Gruppo Speleologico Comasco, una spedizione alla Grotta Guglielmo (Monte Palanzone, Como), dove si esegue una parziale esplorazione, accompagnata da un accurato rilevo congiunto da osservazioni geomorfologiche, che fu interrotta da un’alluvione interna seguita ad una situazione meteorologica disastrosa. Praticamente tutte – o quasi – le iniziative della Sezione Geo-speleologica del decennio 1950-60 furono da lui organizzate o seguite nei minimi dettagli. Sotto la sua guida tecnica, la Sezione Geo-speleologica e Maucci in particolare poterono conseguire straordinari risultati nel campo degli studi, senza tralasciare (anzi, valorizzando!) l’aspetto esplorativo, tanto che una “generazione” di valenti speleologi si formò, cimentandosi con le più difficili e profonde cavità allora conosciute. De Martini puntò sempre alla formazione dei giovani speleologi: nella “Adriatica” di allora, non era concepibile che un giovane, oltre ad acquisire la tecnica di grotta, non s’istruisse bene nella topografia e nel rilievo sotterraneo e non avesse cognizioni di carsismo (lo testimoniamo noi due, della “generazione speleologica” immediatamente successiva!). Non solo, nella “Adriatica” di Luigi de Martini si favoriva gli elementi più qualificati, facendoli partecipare ai congressi nazionali ed ai convegni, come pure si favoriva – caso forse unico dell’epoca a Trieste – l’aperta collaborazione nelle spedizioni invitando speleologi d’altri gruppi grotte triestini. Luigi de Martini fu colui che organizzò le esplorazioni ed i rilevamenti per lo studio degli inghiottitoi fossili del Carso (1950-53), che pianificò le prime esplorazioni subacquee del Timavo (1951-53), le quali sfociarono nel superamento del sifone d’entrata del fiume nell’Abisso di Trebiciano, che organizzò la grande spedizione alla Spluga della Preta (Monti Lessini) nel ’54, che organizzò le tre storiche spedizioni della seconda metà anni ’50 (1956-58-59) all’Antro del Corchia (Alpi Apuane) che raggiunsero i 585 metri di profondità (poi, com’è noto, nel ’60 il fondo del Corchia fu toccato da una spedizione leggera mista bolognese-milanese – che aveva goduto delle indicazioni fornite in buona fede dal Maucci – la quale però sovrastimò di molto la sua reale profondità). Tra i suoi scritti – peccato che ce ne siano stati pochi – ricordiamo quelli: sullo studio geomorfologico degli inghiottitoi fossili della zona di Gabrovizza (1952), sui risultati del primo ciclo d’indagini sul Timavo sotterraneo (coautore Walter Maucci) (1952), su una sonda geofonometrica per ricerche d’idrografia sotterranea (1954), sull’organizzazione tecnica della spedizione alla Preta (1957) dove illustrava il modello “himalayano” delle grosse, e “pesanti”, spedizioni dell’epoca, retaggio, seppur ispirato alla progressione, appunto, “himalayana” in voga, della tecnica esplorativa d’anteguerra: modello che sarà soppiantato negli anni ’60 con l’introduzione di scalette e corde leggere. Va infine ricordata la sua presenza nel 1955 sul Marguareis, dove accorre, con molti speleologi triestini e non, per le operazioni di soccorso nell’Abisso Gaché, durante la tragica spedizione del Gruppo Triestino Speleologi, terminate col recupero della salma del giovane Lucio Mersi. Trasferitosi, definitivamente, nel 1963 vicino a Milano per ragioni di lavoro, Luigi de Martini perse il contatto con il “suo” mondo, quello della speleologia triestina del dopoguerra, quello di “quell’Adriatica” che aveva respirato l’aria delle prime grandi spedizioni che ebbero risonanza internazionale, e che aveva contribuito in prima persona a creare ed a far conoscere, veramente, nel mondo. Si stacca, progressivamente, dalla speleologia, rimanendo solo in contatto e amicizia con alcuni di coloro che avevano condiviso la sua attività, come Walter e Corrado Maucci e con Stefano (Steno) Bartoli. Di lui rimangono, oltre ai suoi scritti scientifici, svariate e innumerevoli testimonianze della sua straordinaria capacità e riconosciuta autorevolezza, la responsabilità di aver formato parecchi tra i migliori speleologi triestini (non solo degli anni ’50, pure alcuni che proseguirono da protagonisti nel decennio successivo), molti rilievi di grotte (sul Carso ed in altre zone d’Italia, alcuni all’epoca di rilevanza nazionale), un notevole contributo alla revisione del catasto speleologico della Venezia Giulia (che per lo più, dati i tempi, rimase confinato nell’archivio catastale della Sezione Geo-speleologica), molte relazioni speleologiche inedite (purtroppo gran parte andate perdute), una preziosa documentazione fotografica risalente agli anni ’40 e ’50 (che è stata recuperata grazie allo speleologo milanese, triestino di nascita, Adriano Vanin, che ha sposato la figlia di Luigi de Martini), complessivamente la sua azione, tutta, che storicamente lo pone indiscutibilmente come uno tra i maggiori ed importanti speleologi triestini, ed italiani, della ripresa del dopoguerra.
Nel licenziare queste note, ringraziamo l’amico Adriano Vanin che ci ha trasmesso alcuni dati su Luigi de Martini e ce ne ha rammentato altri, che alla nostra memoria erano sfuggiti. Da parte nostra, ci siamo premurati di trasmettere la notizia ai suoi vecchi compagni d’esplorazione, ignari della sua morte, che tanta fatica e gloria hanno assieme condiviso. (SD e RS)