Al VI Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali, svoltosi a Napoli dal 30 maggio al 2 giugno, alcuni speleologi della nostra regione hanno contribuito, sia con la loro presenza alle conferenze e alle escursioni sotterranee, sia con la presentazione di lavori tematici. Fra questi: Paolo Guglia con “Capofonte e gallerie superiori dell’Acquedotto Teresiano: indagini sulle opere sotterranee di captazione e sul pavimento attrezzato con canalizzazioni per il trasporto dell’acqua”; Marco Meneghini con “Situazione aggiornata del Catasto delle Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana”; Franco Gherlizza con “Leggende e ipogei artificiali del Friuli Venezia Giulia”. (FG)
A seguito dei numerosi articoli comparsi sul quotidiano locale di Trieste in merito al Capofonte dell’Acquedotto Teresiano, interessato da svariati lavori, in veste di Curatore del Catasto Cavità Artificiali della SSI ho ritenuto opportuno fare chiarezza su tali avvenimenti intervenendo anche attraverso le pagine di questo notiziario.
La situazione può essere così sinteticamente riassunta. È risaputo che, storicamente, tutta l’area circostante il Capofonte dell’Acquedotto Teresiano (nel rione di San Giovanni Superiore a Trieste) ha subito nel tempo vari dissesti e franamenti, tanto che alla fine del XIX secolo è stato completamente riempito un tratto di galleria, garantendo il deflusso dell’acqua attraverso una tubazione in ghisa. I problemi statici dell’opera sotterranea non si sono però risolti considerato che, quando è stato rivisitato per la prima volta il Capofonte nel 1986, è stato possibile osservare la presenza di numerose lesioni sia nella parte interna del primo vano sotterraneo, sia lungo la retrostante galleria. Siccome l’ATER doveva iniziare il cantiere di recupero di Borgo San Pelagio, transitando necessariamente con mezzi pesanti sulla strada soprastante il Capofonte, è stata avviata agli inizi del 2007 una campagna d’informazione al fine di scongiurare sicuri danni alle strutture sotterranee e, dopo una serie di incontri svoltisi in Comune, i soggetti interessati hanno deciso di procedere all’effettuazione di alcuni lavori preliminari di “messa in sicurezza” del Capofonte stesso, adottando la soluzione di una soletta superiore di protezione in cemento armato collegata a micropali ammorsati in roccia. I lavori relativi al Capofonte sono regolarmente iniziati, con uno scavo che ha portato allo scoprimento dell’estradosso della galleria e all’infissione dei micropali. A questo punto dell’intervento è accaduto però un fatto grave: i lavori hanno intercettato un’ingente vena d’acqua, che ha invaso lo scavo e che è stata frettolosamente deviata all’interno del Capofonte. Da opportune verifiche è emerso che la vena d’acqua rappresentava in realtà il flusso che normalmente scendeva dalle Gallerie Superiori tramite la tubazione di ghisa. Tale tubazione è stata infatti ostruita dal cemento nel corso dell’attività di infissione dei micropali e l’acqua, non trovando sbocco, ha inevitabilmente innalzato la propria soglia di travaso. Con un apposito sopralluogo, è stato alla fine accertato che tutte le Gallerie Superiori erano completamente allagate, con un innalzamento del livello di quasi 2,5 m ed un accumulo d’acqua pari ad almeno 500 mc. A questo punto è risultato necessario informare l’opinione pubblica su quanto stava accadendo, avvisando nel contempo tutte le Autorità preposte. Gli addetti del cantiere ATER hanno allora deciso di intervenire per rimediare al danno causato, svuotando le Gallerie Superiori con l’utilizzo di apposte pompe e costruendo un pozzetto drenante per raccogliere le acque che non scorrevano più nella tubazione. Attualmente, come accertato da un’ulteriore verifica speleologica, il livello del flusso idrico a monte del Capofonte è stato in parte abbassato, anche se risulta ancora superiore di 0,5 m rispetto alla quota originale. L’intervento dei cittadini e degli speleologi ha in parte rimediato ai danni arrecati durante le attività del cantiere, ma ancora molte cose devono essere verificate. Nessuno può assicurare, infatti, che il pozzetto drenante recentemente installato riesca a smaltire tutta l’acqua delle Gallerie Superiori che, a seconda della stagione, subisce variazioni di portata anche considerevoli. Allo stesso tempo nessuno può garantire che l’acqua, non scorrendo più attraverso una tubazione, ma libera di crearsi il proprio percorso nel terreno, non si scavi nel tempo nuove vie, andando ad interessare le abitazioni vicine o le stesse strutture del Capofonte.
Per il momento la conclusione può essere questa: quando i cittadini e gli speleologi si uniscono e fanno sentire la propria voce, è ancora possibile ottenere qualche risultato nella difesa e salvaguardia dei beni storici o naturalistici che ci stanno a cuore. Però questo non sempre basta. Nel caso in questione, l’attività di sensibilizzazione avviata dall’Associazione di volontariato “Il Capofonte” (che prende il nome proprio dall’opera teresiana) e quella specialistica svolta dalla Società Adriatica di Speleologia hanno permesso di intervenire nel rimediare parzialmente a evidenti danni causati non solo all’opera storica, ma anche al territorio circostante. Non sono da sottovalutare, difatti, le complicazioni che potrebbero derivare dalla rottura di equilibri idrogeologici da tempo consolidati e, a tale proposito, bisognerà verificare se i rimedi per ora messi in atto risulteranno adeguati e sufficienti. Spero di no, non voglio essere pessimista, ma c’è la concreta possibilità che ancora molti articoli compaiano sul nostro quotidiano relativamente alla necessità di salvaguardare il Capofonte Teresiano. Per quanto riguarda noi speleologi, continueremo a dare la nostra consulenza specialistica in un campo che ci vede – per il momento – come unici soggetti competenti e qualificati. (PG)