Geologi, speleologi, chimici, botanici e storici, nella grotta di Monteprato (Nimis) trasformata, da oltre un anno, in una sorta di laboratorio sotterraneo. I volontari della società di studi carsici “Linder” di Ronchi dei Legionari, impegnati nello studio dei fenomeni carsici sotterranei e superficiali, stanno completando una ricerca multidisciplinare nella cavità che prende il nome dal piccolo borgo situato nel comune di Nimis. La grotta è una tra le più note in Friuli: le prime notizie della sua esplorazione risalgono al 1885. Caratterizzata da due ampie gallerie in salita, interrotte da un salto di 5 metri, nella parte terminale, la cavità si articola in diversi cunicoli stretti e alcune stanzette.
In questi spazi angusti si muovono gli studiosi, organizzati in specifiche squadre (geologia, speleologia, chimica delle acque, botanica, fauna ipogea, studi sul microclima, temperature e correnti d’aria, storie e leggende) per redigere le rispettive mappe. «Cerchiamo di capire perché si è formata questa cavità» spiega il geologo, Graziano Cancian (nella foto), sulle analisi mineralogiche effettuata in collaborazione con l’università di Trieste, in particolare con il professor Francesco Princivalle. Gli studiosi stanno passando al setaccio i sedimenti per capire da dove provengono. Tra i rilievi emersi finora c’è il ritrovamento di una grossa apatite di fosfato di calcio. «E’ un minerale – sottolinea Cancian – che si forma a seguito di una reazione tra il guano dei pipistrelli e la roccia. Pur trattandosi di un fenomeno non raro, in queste zone non era mai stato rilevato».
Si tratta di un lavoro puntiglioso che richiede un impegno maggiore rispetto al previsto. Anche perché «sono presenti faglie e sovrascorrimenti, ossia grandi porzioni di roccia sovrascorse una sopra l’altra, nelle passate ere geologiche, a causa di spinte tettoniche, le stesse che hanno contribuito alla formazione delle Alpi» puntualizza il geologo senza dimenticare di evidenziare che «a complicare ulteriormente il quadro è la presenza di rocce marmose e arenacee che, alle volte, inglobano banchi calcarei più antichi frutto di imponenti e antiche frane sottomarine, avvenute quando il territorio faceva parte di una grande bacino».
Altrettanto interessante la classificazione della flora all’ingresso della grotta seguita dalla professoressa Miris Castello dell’ateneo giuliano, come pure quella della fauna che vive nella cavità curata dal dottor Andrea Colla del Museo di scienze naturali di Trieste. Tutti questi studi, compreso il monitoraggio delle temperature, delle correnti d’aria e della chimica delle acque, vengono ripetuti in diversi periodi dell’anno per studiare, a seconda dei fenomeni meteorologici, come cambia la situazione all’interno della grotta. E poiché ogni cavità è inserita in un particolare contesto naturalistico e sociale, gli ideatori del progetto hanno voluto coinvolgere anche la popolazione. «Per questo motivo – fa notare Cancian – ci siamo confrontati con gli abitanti del borgo con i quali abbiamo effettuato alcuni sopralluoghi nel tentativo di scoprire nuove grotte».
___________
Articolo ripreso dal Mesaggero Veneto
In merito all’articolo “Alla scoperta della Grotta di Monteprato”, pubblicato sul Messaggero Veneto, vi comunico che contiene un refuso. Non è stata trovata una “grossa apatite” ma alcune incrostazioni di “idrossi-apatite”.
Cordiali saluti
Graziano Cancian