Cinquant’anni fa – esattamente il 14 luglio 1963 – tre esperti speleologi triestini della CGEB scoprivano il potenziale speleologico del massiccio del monte Canin (Friuli Venezia Giulia). Sul numero 20 di “Progressione”, pagg. 4-7, a firma di Dario Marini è possibile leggere la cronaca di quella memorabile giornata, che ha rivoluzionato le conoscenze del carsismo in alta quota.
Sono passati 50 anni e generazioni di speleologi, gruppi regionali, nazionali e internazionali, si sono calati nel misterioso mondo sotterraneo di questo mitico monte, anche in competizione tra loro.
Qualche migliaio di grotte, decine e decine di abissi, alcuni di oltre 1000 metri di dislivello e complessi di svariate decine di chilometri di sviluppo, sono il risultato finora ottenuto in questi cinque decenni di esplorazioni, iniziate con scalette e lampade a carburo.
Tutto ciò è niente in confronto a quanto c’è ancora da scoprire e da studiare in questo massiccio.
Le esplorazioni e le scoperte di questi ultimi anni, e soprattutto di questi ultimi mesi, ci fanno comprendere come ci possiamo trovare di fronte a un unico enorme complesso ipogeo, probabilmente il più esteso in Italia (con sviluppo planimetrico) e quello con più ingressi al mondo.
Un giorno, forse neanche tanto in là, qualcuno riuscirà a trovare il passaggio per collegare i vari tasselli che formano questo enorme sistema. Sarà una bella soddisfazione! Ma costui si dovrà ricordare di quel 14 luglio 1963 e – soprattutto – di quanti, in tutti questi decenni, hanno contribuito alla conoscenza del fenomeno carsico del monte Canin, sicuramente uno dei più belli d’Europa.
Gianni Benedetti
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