Si è conclusa la spedizione Timavo System Exploration 2013. Nell’Abisso di Trebiciano e nel Pozzo dei Colombi alla ricerca del fiume misterioso
Jean-Pierre Stephanato e Christian More scivolano in acqua dalla piattaforma galleggiante fissata con le corde su due lati della cavità. Tra muta stagna, autorespiratori rebreather, bombole Nitrox, torce e sagole sono talmente carichi di roba che sembra impossibile riescano a nuotare e a muoversi senza soccombere sotto tutto quel peso. Invece fra poco spariranno nell’acqua buia della grotta, che ha la temperatura di tredici gradi e la trasparenza di un caffellatte, scivolando verso un fondo che non c’è. Sulla zattera ingombra di materiali Marc Douchet osserva le loro sagome luminescenti svanire lentamente.
Siamo nel Pozzo dei Colombi, alle spalle della chiesa di San Giovanni di Duino, a un passo dall’autostrada: è una verticale di venticinque metri che schiude l’uscio oscuro in mezzo alla boscaglia e finisce dritta sulla superficie del fiume Timavo, due metri sopra il livello del mare. Questa è l’ultima delle dodici finestre aperte sul Timavo prima che il fiume misterioso sfoci nell’Adriatico attraverso le tre bocche delle sue mitiche risorgive, quelle che il poeta Virgilio voleva risonassero “con alto frastuono”. Il Pozzo dei Colombi non si arresta sulla superficie del fiume dove galleggia la piattaforma che fa da base agli speleosub: da lì le sue acque sprofondano da qualche parte per almeno ottanta metri, molto al di sotto del fondale marino, e non si sa bene dove vadano a finire. Jean-Pierre, Christian e Marc stanno cercando di scoprirlo.
A venti chilometri da qui, a quota -329 metri, in fondo all’Abisso di Trebiciano – altra finestra affacciata sul fiume che non c’è – Michel Philips ha raggiunto in immersione il lago Boegan, sbucando nella galleria scoperta il giorno prima, e ora percorre sott’acqua quel corridoio sconosciuto per diverse decine di metri.
La squadra di speleosub francesi, tra i migliori esploratori di acque sommerse al mondo, è alle ultime battute della “Timavo System Exploration 2013”, la spedizione speleosubacquea – appena terminata – organizzata dalla Società Adriatica di Speleologia (SAS) e dalla National Cave Diving Commettee, braccio operativo della Fédération française d’études et de Sports Sous-Marins. La spedizione ha segnato la nuova tappa del “Timavo Project”, avviato nei primi anni Novanta della SAS e dalla Commissione Grotte E. Boegan dell’Alpina delle Giulie. Allora, dopo due anni di esplorazioni che diedero ottimi risultati (il record di –80 metri nel Pozzo dei Colombi e 420 metri di nuove gallerie sommerse a Trebiciano), le ricerche si fermarono perché, spiega Paolo Guglia della SAS, «di fatto erano stati raggiunti i massimi risultati possibili ai quei tempi in termini di tecnologie e attrezzature».
Ma in vent’anni le cose sono cambiate, e oggi le più avanzate tecniche di immersione subacquea (ad esempio l’uso dei rebreather, autorespiratori ad elevata autonomia) permettono di superare quei limiti. Ed è ciò che l’ équipe francese guidata da Claude Touloumdjian, decano degli speleosub con cinquemila immersioni profonde all’attivo, è riuscita a fare. Anche se, confessano gli esploratori francesi, «meno di quanto sperassimo».
D’altro canto quella del fiume Timavo è una delle più lunghe esplorazioni sotterranee della storia: quasi duecento anni di ricerche per capire come e dove si muove il fiume nascosto di Trieste, che nasce con il nome Reka dalla sorgente Turkove škulje nella Val Malacca, in Croazia, a ridosso del confine con la Slovenia, attraversa in gran parte sottoterra tre repubbliche per almeno novanta chilometri e sfocia in mare a Duino.
Da quando le acque del Reka furono scoperte nelle Grotte di San Canziano, nel 1823, la caccia al fiume fantasma non si è mai fermata. Il primo vero impulso fu dato il 6 aprile 1841 dall’ingegnere minerario Anton Friedrich Lindner, che a forza di braccia e di mine, e a spese della propria salute, dopo cinque mesi di sforzi riuscì a raggiungere assieme al cavatore Luca Kral e al minatore Antonio Arich l’immenso cavernone sul fondo dell’Abisso di Trebiciano, dove da svariati millenni il Recca/Timavo scorreva allegro e indifferente agli umani. Da allora le esplorazioni non si sono più fermate. Da San Canziano all’Abisso dei Serpenti fino alla Lazzaro Jerko e al Pozzo dei Colombi oggi sono dodici le cavità abissali che precipitano dritte sul fiume nascosto, del quale a tutt’oggi si conosce sì e no il 15 per cento dell’intero sviluppo. «È come provare a ricostruire l’impianto elettrico di un’antica villa avendo a disposizione solo un paio di punti luce», commenta Guglia. Non è un caso se dai tempi della preistoria e fino all’epoca classica le sue foci abbiano radunato tutta una serie di divinità, compresi Diomede, Ercole e Saturno. E non è un caso se con il passare dei secoli la voglia di svelare i segreti del fiume invece di scemare sia aumentata, al punto che in certi casi l’esplorazione sotterranea ha assunto i connotati di un’opera titanica. Come per la Grotta Luftloch, a metà strada fra Trebiciano e Fernetti, nella Dolina delle Cloce, dove da ben tredici anni squadre della SAS continuano a scavare lottando contro frane da puntellare e la pericolosa – e anomala – presenza di anidride carbonica nell’aria, cercando di raggiungere l’acqua del Timavo, che fa capolino tra i pozzi solo nella stagione delle piene, oltre i -245 metri di profondità finora raggiunti.
Al tempo di Lindner sapere dove guizzava il Timavo era fondamentale per immaginare un possibile rifornimento idrico di Trieste nelle stagioni afflitte dalla siccità. Oggi l’acqua dei nostri rubinetti arriva dalle pianure friulane, e anche se l’interesse scientifico viene sempre al primo posto, «è la voglia di esplorazione che ci sprona, l’idea di andare là dove nessun essere umano è mai stato prima», ammette Marc Douchet. «L’acqua sarà comunque un problema nei prossimi anni, e le ricerche del Timavo sono fondamentali in questo senso», aggiunge Sergio Dambrosi, presidente della SAS, che all’imbocco dell’Abisso di Trebiciano ha allestito una Stazione sperimentale ipogea. «Certo per il grande pubblico non è facile capire questo bisogno d’infilarsi nel buio», chiosa Benjamin Guignet, giovane cineasta francese che ha seguito passo passo con le telecamere la squadra di Claude Touloumdjian, e ha intenzione di produrre un film dedicato agli speleologi di ogni era.
I risultati della “Timavo System Exploration 2013” saranno presto resi noti nel dettaglio. «Intanto, però, possiamo dire che il Timavo è in buona salute – dice Marco Restaino, uno dei più giovani speleo votati a svelare i misteri del fiume -: nel corso delle immersioni all’Abisso di Trebiciano sono stati osservati decine di protei, e questo è un buon segno». «In quanto all’esplorazione vera e propria – continua Restaino – il rilievo che verrà prodotto farà ulteriore luce su quel poco che sappiamo del Timavo, servirà a tracciare nuove mappe del fiume, e darà impulso a nuovi studi nell’area e alla formulazione di nuove ipotesi riguardo le dinamiche delle acque sotterranee a cavallo dell’ormai ex confine». «Tuttavia – conclude lo speleologo – come sempre constatiamo che le istituzioni preposte alla tutela e alla distribuzione dell’acqua continuano a disinteressarsi di questi argomenti, nonostante il problema e la ricerca dell’approvvigionamento idrico siano una necessità stringente».
Pietro Spirito
Fotogalleria: de Il Piccolo
Il video:
[NON PIU’ DISPONIBILE]
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Notizia ripresa da Il Piccolo del 19.08.2013
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