Da Il Piccolo del 11 giugno 2015
Viaggio all’interno della grotta di Trebiciano ridotta a un deposito di idrocarburi. Falda a rischio contaminazione. L’Arpa: «Impossibile per noi scendere a verificare» di Lorenza Masè
TRIESTE Giù per una dolina scoscesa, un piccolo sentiero conduce subito all’interno di un’ampia grotta. Il pavimento della “Caverna presso la 17 VG” è ricoperto da un lago nero e viscoso, con riflessi cangianti, da cui emergono massi sporchi di catrame. Impantanati nel materiale appiccicoso, le carcasse di vecchi pneumatici e un fusto. Siamo in una grotta il cui fondo è stato riempito con idrocarburi e sotto i nostri piedi scorre il Timavo. Non si tratta di una scoperta sensazionale ma di una verità nota tra gli speleologi, segnalata ai media e registrata nel catasto regionale delle grotte.
La cavità si trova nei pressi di quella più famosa detta “Abisso di Trebiciano”. Sopra le nostre teste, un’imboccatura alta circa 12 metri: una volta i camion potevano arrivare fino qui, fermarsi davanti a questo “inghiottitoio” naturale e utilizzarlo come punto di scarico per lo smaltimento di residui oleosi. È
Ci troviamo vicino all’ex discarica di Trebiciano, inaugurata nel 1958. Qui per circa 15 anni, fino al 1972, sono stati depositati rifiuti di ogni genere: dai rifiuti solidi urbani ai rifiuti tossici industriali. L’area di circa 120mila metri quadrati che ha accolto almeno 600mila metri cubi di rifiuti di ogni tipo con uno spessore che in alcuni punti supera i 20 metri di profondità oggi è stravolta: si è trasformata in un’enorme collina di immondizia. Dopo la dismissione non c’è mai stata una vera e propria bonifica. Con il tempo buona parte del materiale da riporto usato per la copertura della discarica è stato trasportato via e i rifiuti sono ricomparsi, anche se in questa stagione la vegetazione li nasconde di nuovo alla vista.
Nel gennaio 2014 il M5S aveva depositato due interrogazioni, una in parlamento e una in Regione, riaprendo il caso dell’inquinamento del sito di Trebiciano e il conseguente rischio di inquinamento idrico. Faceva seguito una nota ufficiale: «Arpa, Acegas-Aps e Ass hanno confermato che non si sono mai rilevate nelle acque del Timavo, tracce di inquinamento associabili alla discarica. Hanno altresì dato assicurazioni che i controlli sono costanti anche se il ricorso al Timavo per l’approvvigionamento idrico di Trieste è ormai ridotto al minimo e limitato alle situazioni di grande siccità».
Davanti a questo lago di oli esausti siamo così sicuri di poter dire che le falde acquifere e il sottosuolo non abbiano subito alcun contraccolpo? I segni neri di bitume sulla parete della grotta mostrano che il livello di questo lago di idrocarburi sta scendendo, ciò vuol dire che il materiale tossico sta scivolando via. Ma dove? Il terreno del Carso è fatto di rocce calcaree che si frantumano facilmente, fratture e fessure dove questo materiale tossico insieme all’acqua piovana si incunea, con la possibilità di raggiungere la sottostante falda acquifera del Timavo, di cui non conosciamo con precisione tutte le ramificazioni sotterranee. Non si sa nemmeno quale sia la velocità di assorbimento e nessuno può dire quanto sia profondo lo strato del materiale inquinante.
Il caso è stato sollevato da una denuncia di Premiani (di cui abbiamo dato notizia il 4 giugno, ndr) sui 30mila euro mai spesi stanziati da bilancio comunale del 2014 per effettuare il censimento di almeno 50 cavità e programmare eventuali interventi di bonifica. L’assessore comunale all’ambiente Umberto Laureni indicava come responsabile dell’impasse l’Arpa per non aver dato risposta alla richiesta del Comune ad eseguire indagini conoscitive sullo stato di inquinamento delle cavità del Carso triestino.
Ieri è giunta la risposta ufficiale: «Arpa segnala la propria disponibilità ad effettuare in laboratorio la caratterizzazione dei campioni eventualmente prelevati nelle cavità e non è invece in grado di effettuare i prelievi dei campioni di materiale inquinante e di rifiuti all’interno delle cavità, dov’è possibile la presenza di esplosivi, sostanze asfissianti o tossiche. Tali prelievi potrebbero essere effettuati da altri organismi come, ad esempio, Vigili del Fuoco o Polizia. In tal senso verrà inviata a stretto giro di posta una comunicazione ufficiale al Comune di Trieste». Ribadisce Furio Premiani: «Gli unici a possedere l’esperienza e l’attrezzatura idonea sono gli speleologi che continuano ad entrare nelle grotte e rilevare immondizia e inquinamento. Ci troviamo – conclude – con 30mila euro stanziati per studiare l’inquinamento ipogeo, ma non possiamo fare nulla».
Ultimi commenti