In una grotta di Comarie l’acqua del lago di Doberdò

Continua l’opera degli speleologi per individuare i percorsi sotterranei Il lavoro serve a mettere a punto il piano anti impaludamento del bacino carsico
di Laura Blasich (da Il Piccolo)

DOBERDÒ Alle spalle il primo tracciamento delle acque del lago di Doberdò, gli speleologi degli Amici del Fante di Monfalcone, Lindner di Ronchi dei Legionari e Talpe del Carso di Doberdò continuano la caccia per individuare percorsi e confermare ipotesi utili a innalzare il livello del lago, evitandone l’impaludamento.

Una decina tra speleo e speleosub, anche della Società Adriatica di speleologia di Trieste, ed esperti che partecipano al progetto coordinato dall’Università di Trieste sono entrati in azione in questi giorni in particolare nella grotta di Comarie, a una cinquantina di metri appena dal confine di Brestovizza, a Jamiano.

Su un lato della piccola cavità naturale, sul fondo di una dolina, si apre un pozzo da cui si accede a uno specchio d’acqua profondo 4 metri.

In questa grotta nella campagna di monitoraggio di fine giugno sono state ritrovate tracce di fluorescina, la sostanza che, diluita, è stata immessa nell’inghiottitoio sudorientale del lago di Doberdò per cercare di individuare i percorsi sotterranei di deflusso. È la prova del collegamento sotterraneo tra lago e grotta.

A Comarie è stato invece immesso del semplice sale da cucina, che aumenta la conducibilità dell’acqua, i cui valori possono quindi essere utilizzati per misurare la velocità di ricambio della stessa. Le sonde impiegate, di cui una per la misurazione in continuo, sono state posizionate a una profondità di 3-4 metri da Matteo Cavanna degli Amici del Fante e da Duilio Cobol dell’Adriatica di Trieste, il cui padre, Giorgio, è stato il primo a immergersi a Comarie. «I risultati rilevati sono interessanti, perché in un punto, più superficiale, la situazione è ritornata in equilibrio nell’arco di 10 minuti – spiega Cavanna –, dimostrando un ricambio dell’acqua molto veloce».

L’insieme del monitoraggio, completato in questi giorni con nuove esplorazioni e scaricando i dati in continuo, ha permesso di individuare un’immissione di acqua profonda e poi un flusso in uscita abbastanza superficiale, con un movimento idrogeologico definito «molto interessante». Passi avanti significativi per il “salvataggio” del lago di Doberdò. L’immersione ha del resto permesso di individuare un canale di deflusso di circa 60 centimetri di larghezza e 30-40 di altezza che potrebbe essere collegato con la Grotta dei colombi, verso Medeazza, dove un team francese sta indagando il corso del Timavo.

È stato individuato anche il canale di afflusso, nel lato nord della grotta.

Le prove di tracciamento delle acque del lago hanno del resto dimostrato come parte delle acque finisca nel Timavo, oltre che a Sablici e quindi alla Moschenizza. Comprendere quale sia l’idrografia del Carso è importante per l’ambiente, ma anche per la salute, ed ha risvolti concreti, come ha sottolinea Fabio Gemiti, già responsabile del laboratorio di Analisi di Acegas, che nella cavità si è calato per la prima volta nel 1972.

«A qualche centinaio di metri da qui – ha detto Gemiti, durante le operazioni a Comarie –, oltre confine, ci sono i pozzi di Clarici che alimentano l’acquedotto del Carso sloveno, mentre l’acquedotto triestino ha delle pompe di emergenza alla Moschenizza. Da tempo sostengo quindi che i trasporti di idrocarburi lungo il Vallone andrebbero eliminati, per evitare possibili inquinamenti delle falde».

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