Notizia ripresa dalla pagina FaceBook del USP, dove ci sono anche altre foto.
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Sono piccole, le grotte in Piancavallo, ma riservano spesso delle sorprese.
Nell’Abisso Speranza avevo sbirciato più di un anno fa, scivolando giù dalla cascata di ghiaccio che lo mette in comunicazione con la Grotta della Pioggia, mentre cercavo di liberare una corda, martellando il ghiaccio che la inglobava: un pezzo della cascata ha ceduto mentre lavoravo e sono volato dalla Grotta della Pioggia all’Abisso Speranza. Da queste avventure si impara a tenersi sempre una sicura. Per la cronaca, la sicura ce l’avevo, infatti scrivo queste righe sorridendo.
Quella era la prima esplorazione a cui partecipavo, invitato da Andrea, dopo il corso di introduzione e dopo le gite in quelle bellissime grotte il cui ingresso basso è la cucina di qualche trattoria.
Queste volte (30 dicembre e 5 gennaio) partiamo direttamente dall’Abisso Speranza: purtroppo il riscaldamento globale sta colpendo anche i ghiacciai delle grotte, e la consolazione è che si apre qualche via nuova per l’esplorazione.
Andrea è già stato con Laura, Marco ed il Bocia ed aveva individuato quella che potrebbe essere Calcite Criogenica, ovvero una cristallizzazione calcarea avvenuta nel ghiaccio invece che per temperatura e pressione, ed iniziato la risalita di un camino un tempo ostruito da una colata di ghiaccio.
A Dicembre con Andrea ci siamo io e Natasha: armo velocemente la discesa fino in fondo e ci dedichiamo a fotografare i famosi cristalli di cui sopra, dopodiché riprendiamo la risalita già iniziata. Inauguro così il martello artigianale che mi ha dato Sandro: Andrea mi aveva avvertito che c’era parecchia roccia brutta, ma ogni volta che la saggio, il suono è cristallino: o questo martello è magico, e consolida la roccia su cui batte, oppure imbroglia. Secondo me vale la prima ipotesi.
Salgo ed arrivo ad una finestra che dà su una saletta molto carina, al cui interno delle stalattiti di ghiaccio si sono disposte come le canne di uno xilofono. Mi sposto su una cengia sulla parete opposta ed attrezzo l’armo per scendere: abbiamo aggiunto una quindicina di metri a quelli già fatti, e per continuare dovremo mettere il punto di sicura qui.
Usciamo col buio e le piste da sci sono vuote. Non si vedono ancora gatti delle nevi e, appena la pendenza della pista lo permette infilo il sacco speleo sotto il culo per sfrecciare verso valle (non vedevo l’ora). Freno poco: ogni volta che lo faccio mi trasformo in una nuvola di nevischio artificiale e non vedo a un palmo dal naso; in pochi minuti sono a valle ad aspettare i miei (lenti) compagni.
Si torna in gennaio: siamo sempre io ed Andrea e questa volta c’è Edi. Io ho un impegno alle 7 di sera, Edi alle 8. Proviamo lo stesso: Andrea arriva in orario e già questo è un successo (scopriamo anche che la seggiovia apre alle 8.30). Armo la discesa come un missile e – giustamente – me ne sento di tutti i colori per aver saltato qualche passaggio a scapito della sicurezza.
Riprendiamo da dove ci eravamo fermati; la roccia cambia un po’: suona sempre bene ma inizia ad avere segni di concrezione. E’ una cosa strana: queste grotte hanno una temperatura media che non permette al calcare di depositarsi: l’acqua mangia e basta. Raddrizzo un po’ di curve, perché so che il tempo è poco, e mi dirigo verso una finestra una dozzina di metri sopra il punto di partenza, tralasciando un altra zona del camino, opposta, di cui non riuscivo a vedere una fine. Le concrezioni aumentano: ci sono stalattiti e anche qualche vela. Arrivo finalmente alla finestra ed entro imprecando: il mio piede destro a causa del ghiaccio e delle posizioni strampalate è completamente informicato. È come se non ci fosse più! La finestra dà in un abbozzo di meandro, che piega a sinistra e sale subito per poi chiudersi, ma vedo qualche metro più in alto una rientranza a cui non riesco ad avvicinarmi a causa del piede. Dovremo tornare a controllare anche quella. Attrezzo la discesa e ci fiondiamo fuori della grotta, verso la seggiovia… e riusciamo a prenderla! scendiamo a valle come dei signori… che vergogna! (ma che comodità, però!).
Alvise Rossi
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