La speleologia regionale … letta attraverso La Gazzetta
La Gazzetta dello speleologo: davvero un ottimo strumento per divulgare le notizie riguardanti il nostro sport - scienza. Sembra che non abbia pari in Italia in quanto a frequenza di pubblicazione ed immediatezza nella forma. Niente male per un semplice bollettino speleologico. Mi fa piacere continuare a riceverlo, con perfetta puntualità, al mio nuovo indirizzo, in un’altra regione: è una finestra aperta che mi permette di mantenere i contatti con la speleologia del Friuli-Venezia Giulia, dove mi sono formato e a cui continuo ad appartenere.
La Gazzetta dello speleologo, inoltre, è l’espressione di una ben precisa entità, voluta e riconosciuta da tutti (o quasi) i gruppi speleo friulani e giuliani. Sotto il suo titolo, campeggia ben evidente la dicitura “Notiziario della Federazione Speleologica Regionale del Friuli-Venezia Giulia”.
Non fermiamoci qui. Per questi motivi, La Gazzetta, uscendo dall’ambito regionale, diventa il biglietto da visita del nostro “andare in grotta” (in senso lato): lo specchio di una realtà speleologica che, per indubbi meriti storici (e si parla anche di meriti acquisiti nella storia contemporanea), viene guardata con rispetto ed ammirazione dal resto d’Italia. Per chi vuole sapere come vanno le cose dalle nostre parti, risulta immediato e gradevole prendere il mano le quattro paginette, e farsi subito una propria idea della situazione, cosa che risulta particolarmente semplice, visto com’è strutturato il notiziario. In parole povere: da La Gazzetta qualsiasi “esterno” (speleologo di fuori regione o non speleologo che sia) dovrebbe farsi un’idea di cos’è e cosa fa la speleologia in Friuli-Venezia Giulia. Ma realmente, cosa ne capisce?
Prendiamo come esempio l’ultimo numero: il 90 del maggio 2004.
Impressionano innanzitutto la frequenza e la continuità con cui il giornale viene pubblicato: La Gazzetta esce da ben novanta mesi senza problemi di reperire il materiale necessario. Ciò significa una redazione inossidabile (i nomi sono sempre gli stessi), ma anche collaborazione e fiducia da parte di tutti.
I contenuti del notiziario fanno trasparire una realtà che sia in generale che nello specifico risulta attiva, sensibile ad importanti problematiche, ma con contraddizioni che emergono in molti aspetti lasciando facilmente adito a dubbi e perplessità.
Il Friuli-Venezia Giulia brilla innanzitutto per i corsi: ben due appuntamenti a carattere nazionale di grande rilievo (didattica speleologica e perfezionamento tecnico del CAI), lo stage regionale di qualificazione per istruttori SSI (alla quinta edizione: non si è perso un colpo!) e la menzione di cinque corsi di introduzione, con un numero di allievi che va dal discreto al consistente, visto l’andazzo generale. Ottimo, direi. Ma se passiamo alle attività di rappresentanza e di esplorazione - campagna? Qui casca il palco: lo squilibrio è completo, lo si legge già nell’editoriale, che, se non altro, ha il merito di sviscerare finalmente il problema. Se si scorrono le pagine, si vede che effettivamente c’è un’inflazione di inaugurazioni, presentazioni, riunioni, convegni (molti anche i rinfreschi…).
Il fatto che queste manifestazioni siano fondamentali per la divulgazione della speleologia, per il confronto che creano fra chi la pratica e fra chi vi è interessato, sembra non giustificare l’“ingorgo” creatosi. Ci sono ben tre articoli in cui si citano scarsa partecipazione, pubblicità assente, carenze organizzative. Da qui ci si riallaccia al confronto speleologia - istituzioni che, a quanto pare, parrebbe accettabile in linea di massima: le Amministrazioni locali si dimostrano spesso collaborative, e si resta quasi sorpresi dell’esistenza di un unico contenzioso in essere (Villanova). I punti dolenti però ci sono, eccome: i toni usati dagli autori in alcuni articoli odorano di un sistema farraginoso, tipico di altri tempi e luoghi, che fanno emergere un rapporto con le istituzioni in cui spesso mancano fiducia e rispetto reciproci, e che dovrebbe essere più mirato alla realizzazione di iniziative concrete senza disperdere le risorse a disposizione, siano esse umane, materiali, economiche.
E la colpa è soprattutto, e purtroppo, nostra: le pagine de La Gazzetta (che è il notiziario della FSR, ricordo) sono piene di interlocutori diversi che interagiscono con la pubblica amministrazione. È difficile anche capire come sia organizzata veramente la speleologia in Friuli-Venezia Giulia. Si fa confusione nel destreggiarsi fra Gruppi, Federazioni, Società, Coordinamenti, Commissioni, Comitati. In ultima pagina troviamo perfino la Federazione Regionale, che dovrebbe essere un’istituzione certa, collaudata, riconosciuta, e che risulta invece impegnata a pieno regime nella legalizzazione del proprio statuto.
Esplorazioni e ricerche, come rilevato dalla stessa redazione, rimangono a margine del panorama speleologico complessivo. Ma siamo sicuri si tratti solo di “inerzia nella comunicazione”? Credo proprio di no. Guardando la rubrica “Novità esplorative”, la crisi nelle attività appare drammaticamente evidente. Per quanto riguarda la speleologia urbana, la crisi non è tanto di attività (cospicua, a giudicare dai resoconti pubblicati), ma di identità. Nell’ultima pagina si parla addirittura di tre (!) catasti per le cavità artificiali, ma al di là di questo, con le potenzialità che ci sono, … un progetto che coinvolga più entità, a largo raggio… no, eh?
La salvaguardia dell’ambiente? La mazzata finale. Già dal numero 89, dedicato interamente all’impatto ambientale del Corridoio 5, l’impressione di immobilità è disarmante. Ci si limita a prendere atto del disastro imminente, lo speleologo che porta avanti l’iniziativa viene lasciato da solo, ultimo Samurai ma fermo sulle proprie gambe, ad affrontare qualcosa che nemmeno tutta la speleologia del mondo potrà fermare, forse. Leggendo le ultime Gazzette, viene da chiedersi: ma c’è una seria iniziativa comune? Perché il mordente della Federazione Speleologica Regionale non si fa sentire sul principale mezzo di comunicazione di cui dispone? Questo dispiace, come “dispiace” che nel XXI secolo si debba pulire una grotta dal materiale lasciato lì appena da sette anni a questa parte.
Il quadro della speleologia del Friuli-Venezia Giulia è così deprimente? Se qualcuno prendesse in mano l’ultimo numero de La Gazzetta, vi assicuro di sì. E se la realtà fosse invece un’altra, se quello che si legge sul nostro notiziario è una visione distorta e le cose invece andassero molto meglio? Allora rivediamo il nostro modo di comunicare. Leggiamo la prossima Gazzetta non solo come il notiziario della FSR, ma facciamolo come se ci trovassimo al di fuori dei nostri confini regionali: dovremmo riuscire a capire “dove sta andando la speleologia”, e chiederci se è veramente così.
Marco Meneghini
“Corridoio 5”: tra Diktat e speleologia inerme
Ho letto ed apprezzato il lungo articolo dell’amico Maurizio Comar sul grave (e noto) problema del “Corridoio 5”. Merita alcune riflessioni e considerazioni. Premetto che, personalmente, mi sono occupato solo marginalmente di “Corridoio 5”, anzi molto marginalmente. Ben conoscendo però, per incombenze professionali, i lunghi iter istituzionali, approvativi, i VIA, e così avanti, relativi a queste opere, nonché – se mi consentite – conoscendo il problema, almeno in linea generale, dell’attraversamento del territorio carsico (ed oltre), sono consapevole da una parte della delicatezza dell’opera in relazione alla sensibilità dell’area, dall’altra della disgrazia (in senso ambientale) che ci toccherà subire. Non mi avventuro nel discorso dei costi/benefici e dell’utilità o meno dell’opera poiché non ho elementi di giudizio sufficienti, né tanto meno su quello politico. Da una parte sono contento che, nella nostra speleologia regionale, ci siano persone come l’amico Comar, il quale si è preso a cuore la questione, dedicandovi ore e giorni, ovviamente non remunerati, per studiare i progetti ed i documenti, per partecipare a riunioni, eccetera: perciò, da speleologo, posso solo dirgli grazie. Per contro, in questo frangente, sono pessimista. Anzi – cosa che non è nel mio carattere – addirittura rinunciatario. L’accordo Stato-Regione è stato fatto, i primi finanziamenti sono stati deliberati, l’iter procedurale per la cantierabilità dell’opera sta andando avanti. E, da quel che mi risulta (personalmente), senza intoppi. Purtroppo, la nostra speleologia non è attrezzata, per vocazione, tecnicamente e culturalmente, per porsi come parte avversa. La nostra speleologia – faccio delle considerazioni personali – non ha nel proprio target, nella propria attività di gruppo, consolidata ed istituzionalizzata, quella missione “ambientale” che invece è peculiare di altre organizzazioni, che per essa quindi sono state fondate ed esclusivamente si sono strutturate, andando ad operare, come per esempio il WWF ed altre, in quel settore che sta sotto il nome generico di “ambientalismo”. I nostri gruppi grotte sono stati pensati, fatti, e tuttora funzionano, per andare in grotta, esplorare, rilevare; se poi sono bravi studiare e pubblicare. Non hanno nel loro DNA le lotte, le tecniche ed i metodi propri dell’ambientalismo. I loro soci (la stragrande maggioranza) hanno altri interessi rispetto a quelli degli ambientalisti, i quali appunto (anche quando si parla di territori carsici) non s’iscrivono ai gruppi grotte e non operano al loro interno, ma agiscono invece nelle organizzazioni “ambientaliste” create ad hoc. Ciò non significa che gli speleologi non ci tengano alla tutela delle aree carsiche, anzi, sicuramente, conoscendo bene la materia e “vivendola”, sono profondamente coscienti del problema e possono essere tra i più arrabbiati o delusi. Semplicemente voglio dire che gli speleologi, i gruppi grotte e le organizzazioni intergruppi non sono attrezzati per questi scontri, che sono violenti, lunghi, dispendiosi. Dove c’è tutto un corteo di competenze, tecniche, ambientali, giuridiche, eccetera, da mettere assieme per potervi farvi fronte, per potersi presentare, per essere accettati, per poter dialogare, per far opposizione presso le sedi opportune e nei tribunali, per aver qualche speranza di spostare qualche casellina. E poi debbono esistere motivazioni profonde, direi individuali, ma nel medesimo tempo incanalate e così collettivizzate in un associazionismo che la specificità di cui parliamo possiede. Vi ricordo che sulla Baia di Sistiana il ricorso al TAR fatto dal WWF (senza entrare nel merito della sua opportunità o meno), ed in questi giorni vinto, è stato fatto dai loro soci auto-tassandosi! I soci della sezione triestina hanno messo mano ai loro portafogli, per il loro senso di rispetto dell’ambiente, per la loro missione nella società, per il loro credo, per la loro religione laica – chiamatele come volete – giusti, meno giusti o sbagliati che possano essere questi assunti. Ogni commento è inutile. Senza sfiorare il problema di dover toccare le “tasche” degli speleologi (già arduo), non mi risulta che su questo progetto della “Baia” (senza andar a discutere sulla razionalità dello specifico intervento edilizio), che interessa una zona carsica (senza andar a discutere se abbia valore speleologico, carsico, o meno), la nostra speleologia si sia mossa, e se sì in modo concreto. D’accordo, le cavità della cava di Sistiana probabilmente non hanno un grande valore ambientale; la Grotta delle Candele non è la Skilan. È, la “Baia”, semplicemente un caso che qui si porta a mo’ d’esempio. Poi, non si può – ed è stato fatto – scrivere memorie sul “Corridoio 5” facendo leva, tra le altre cose, per esempio sull’habitat dei pipistrelli: che a me sono simpatici, ma che per Regione, Stato, Italferr, FS, di fronte alle centinaia di milioni di euro dell’investimento ed al comportamento non ancora delineato della Slovenia, sono irrilevanti. C’è, invece, la necessità, di operare in altro modo, mediante collegamenti con strutture nazionali o anche d’interesse mondiale. Collegamenti che sono, per le ragioni che ho detto prima, al di fuori del nostro raggio d’azione di speleologi. Non vedo, neanche, la possibilità di creare strutture speleologiche ad hoc. Dal 1972, ininterrottamente per 23 anni fino al suo scioglimento, ha funzionato nella nostra regione il “Comitato regionale per la difesa dei fenomeni carsici”; ve lo ricordate? Il quale, poverino (io fui uno dei sostenitori), in mancanza di leggi, norme precise, eccetera, nel buio della sensibilità ambientale degli anni ’70, qualche cosina piccola, molto piccola, ha potuto fare. Quando si è sciolto già era, ormai, del tutto inadeguato e da ciò la giusta decisione; oggi credo sarebbe una struttura improponibile, non perché mancherebbero speleologi per aderirvi, bensì per una totale mancanza di supporti e strutture. Meglio rivolgersi quindi, se si vuole fare qualcosa, a quelle esistenti. La stessa SSI, che è una struttura nazionale, secondo me è molto poco attrezzata per questo genere di cose: ci sono – è vero – “quattro gatti” volonterosi e che bisogna stimare per il loro disinteressato impegno, ma non basta. Ci vuole ben altro. Professionalità (magari questa si può trovare), impegno specifico (quindi tempo, ma valanghe di tempo) e soprattutto mezzi, molti mezzi; infine una rete di collegamento con gruppi parlamentari, costante e alimentata, che la speleologia semplicemente non ha. Al massimo, la nostra speleologia va a chiedere quattro soldi all’assessore di turno che, per caso, conosce personalmente. E fa bene. Almeno si becca qualcosa che altrimenti andrebbe ad altre categorie, e realizza qualche progetto che cullava, magari da anni, nel cassetto.
In sostanza conscio, profondamente, e sia dal punto di vista tecnico che emotivo, della complessità dell’opera, dei cantieri che saranno veri villaggi, delle sottostazioni, delle canne di aerazione, dei milioni di metri cubi di materiale di risulta, e così avanti, ho l’impressione che ben poco potrà fare la nostra speleologia per lenire il dolore. Purtroppo. Ed è un purtroppo detto da uno che da quarantatre anni si dedica alla speleologia e che non ha mai mollato.
Rino Semeraro