Ambiente
Bonifica dell’Abisso Plutone
Si è conclusa giovedì 19 luglio, con una conferenza stampa tenuta nella stessa dolina nei pressi di Basovizza nella quale si apre il suo ingresso, l’opera di pulizia e di ripristino ambientale che il Gruppo Speleologico San Giusto ha compiuto all’Abisso Plutone (RE 59). L’incontro con la stampa, durante il quale hanno preso la parola, per il Comune di Trieste, l’Assessore Franco Bandelli e, per il San Giusto, il Presidente Furio Premiani, è stato l’occasione per ribadire la necessità di riappropriarsi di una cultura ambientale, l’esigenza di non considerare il sottosuolo come una discarica indiscriminata, quanto uno spazio e un ecosistema da preservare e conservare, soprattutto visti gli strettissimi legami che questi ambienti hanno, anche e non solo, con i sistemi idrici che poi si utilizzano per le nostre esigenze. È stato così possibile ricostruire la storia di questo ripristino, tracciarne un bilancio, individuare la sua origine meno di un anno fa, allorquando alcuni soci del GSSG hanno intrapreso una serie di uscite, peraltro ancora non terminate, alla ricerca di nuove prosecuzioni nella parte finale di questa cavità che sfiora i 200 metri di profondità e raggiunge, quindi, i livelli di fondo di scorrimento idrico. La discesa degli speleologi, lungo il bellissimo pozzo d’accesso di 115 metri, terminava sempre con gli stivali sopra un cimitero di carcasse d’automobili, di moto, motorini, elettrodomestici e quant’altro la “civiltà” di turno trovava conveniente relegare al buio eterno. Così, quasi spontaneamente, dopo alcuni mesi di uscite prettamente speleologiche, di esplorazione e scavo, è nata in qualche socio in particolare l’idea di una pulizia, di una rimozione di quei materiali. È venuta la voglia di ridare vita e dignità a una tra le cavità più famose del Carso triestino (anche tristemente famose, a causa dell’utilizzo che ne è stato fatto nell’immediato dopoguerra e che l’ha trasformata in uno dei siti nei quali si è consumato quel tentativo di pulizia etnica oggi indicato anche sui libri di scuola come “le foibe”), una delle cavità più antiche – le sue prime esplorazioni documentate risalgono al 1894 – e cariche di suggestione e leggende – famosa quella che vuole vedere l’abisso inghiottire un carro con due buoi che, a distanza di mesi, sarebbero riemersi a considerevole distanza, alle foci del Timavo. Da subito il lavoro di recupero non si è presentato semplice, dovendo risolversi, oltre che i problemi legati al recupero verticale di oltre 110 metri, anche quello, forse ancora più gravoso e pericoloso, che si snodava lungo quel centinaio di metri di china detritica in forte pendenza. E proprio da questo secondo aspetto sono iniziate le operazioni di ripristino. Con l’ausilio di una teleferica speleologica fissata alle pareti e al soffitto della galleria discendente, è iniziato così il recupero di tutti i materiali abbandonati che, una volta trasportati alla base del pozzo d’accesso, sono stati suddivisi in base alla loro natura. Durante questa fase, in particolare, sono state recuperati i fusti completi di una quindicina tra vecchi scooter e motorini, diverse decine di pneumatici, una interminabile e variegata serie di elettrodomestici e tre carcasse di automobili – una FIAT 500, una 600 e una Lancia Thema che, prima del trasporto, hanno dovuto essere tagliate in pezzi a forza di lama circolare. Solo dopo aver ripulito tutta la parte discendente. hanno avuto inizio le vere e proprie operazioni di trasporto all’esterno. Per mezzo di un’altra teleferica, e di altre ingegnose tecniche di trasporto, mentre una squadra ipogea provvedeva a riempire con materiali omogenei degli appositi enormi sacchi, ovvero a distribuire su più viaggi i rottami ferrosi più pesanti, un’altra squadra, all’esterno e a forza di braccia si accollava l’onere di riportare alla luce del sole quanto da decenni marciva e inquinava in profondità. In questa fase, di tremendo impegno fisico, è stata ad un certo punto adottata una tecnica meno umana, ma molto più valida: una lunga serie di rinvii allungavano il percorso della corda dall’uscita del pozzo fin sulla strada dove un PickUp, opportunamente radiocollegato per superare i deviatori del pozzo, e le sue marce ridotte, consentivano di superare il dislivello che divide il piano di campagna dal fondo con uno sforzo notevolmente minore. Nel corso di diverse uscite è stato così possibile accatastare ai bordi della strada, per il successivo recupero e definitivo stoccaggio da parte di personale dell’ACEGAS opportunamente coordinato dal Comune, di oltre 32 m3 di materiale vario. Nel complesso ci sono volute 16 uscite giornaliere – molte delle quali degli interi week-end – con una presenza complessiva di 182 persone che hanno realizzato in totale oltre 1400 ore/uomo di lavoro. Si è trattato, perciò, di un’operazione complessa (è stato ad esempio necessario realizzare un ardito traverso per raggiungere, a circa 60 metri dal fondo, una moto incastrata in una fessura, assicurarla alle corde e issarla in superficie), e non esente da pericoli e incognite (durante il recupero di un motore di autovettura una corda ha ceduto lasciando precipitare il monoblocco lungo il pozzo, fortunatamente non causando alcun danno alla squadra ipogea), ma che ha dimostrato ancora una volta, e contrariamente allo scetticismo iniziale espresso da qualche componente l’ambiente speleologico, che operazioni di tal genere e impegno possono e devono essere realizzate. Ma non solo, che progetti come questo non portano che lustro alla speleologia, non mettono che in luce il lato ambientalista della speleologia, non danno che risalto, se ce ne fosse ancora bisogno, al fatto che la speleologia è un’attività interdisciplinare e un patrimonio di conoscenze e esperienze da conservare e coltivare. Si vuole concludere ricordando che purtroppo, durante i lavori di pulizia della china detritica, sono venute alla luce delle ossa umane, che al momento non è stato possibile attribuire con certezza a qualcuna delle 21 persone che ufficialmente sono state infoibate e successivamente, alla fine degli anni ’40, riportate alla luce, ovvero a qualche sventurato che nell’abisso ha trovato la morte perché vittima di un incidente piuttosto che di un suicidio. Del ritrovamento è stata prontamente informata la magistratura penale che ha disposto il sequestro del luogo; pertanto fino al successivo dissequestro l’accesso a questa cavità è interdetto a chiunque e tutti gli appartenenti al mondo speleologico sono invitati ad attivarsi affinché tale divieto venga rispettato. (PM)
Lavori in aree carsiche
Da un po’ di tempo la nostra Regione è interessata da grossi lavori che ne stanno snaturando il profilo dal punto di vista ambientale, non ultime le azioni di sbancamento in atto nell’area del Monte Canin per la costruzione di nuove piste da sci e relativi impianti. Riportiamo di seguito lo stralcio di un documento dal titolo Alpi e turismo a firma di Guido Pesante, referente Aree protette del WWF del Friuli Venezia Giulia. Il documento integrale è reperibile, per gli iscritti, nella sezione “file” della lista SpeleoFVG. Ovviamente le problematiche che più interessano il popolo speleologico sono quelle inerenti l’ambiente sotterraneo, ma è interessante leggere quali e quante altre prescrizioni vengono prese in considerazione nell’analizzare i progetti in atto. Inutile dire che associazioni ambientaliste a livello nazionale si stanno già preoccupando che vengano rispettati l’ambiente e le grotte. (MB)
Le Alpi ospitano circa 30.000 specie animali (di cui 400 sono specie di vertebrati stanziali) e circa 13.000 specie vegetali (di cui 4.500 fanerogame); in questo territorio (considerando anche la zona prealpina) si riscontra la presenza di siti afferenti alle bioregioni alpina e continentale, di cui alla Direttiva 43/92/CEE (Habitat), mentre lo stesso territorio montuoso è identificato come Ecoregione sulla base della procedura di perimetrazione approvata dalla International Union for Conservation of Nature (IUCN) e dalla Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA).
[…] Si pone dunque un rilevantissimo problema di compatibilità tra la attività turistica in particolare legata allo sci da discesa – che riveste un ruolo strategico nell’economia della montagna e che ha garantito ad alcune comunità la possibilità di mantenere il proprio radicamento geografico – e la salvaguardia di un irrinunciabile patrimonio ambientale e naturalistico.
[…] Dagli anni ’90 il prodotto sci ha mostrato i segni di una evidente “maturità” e dunque l’incapacità di alimentare, perlomeno nei termini conosciuti nei precedenti decenni, dinamiche di crescita del fatturato: tra il 1997 e il 2004, infatti, si è assistito ad una riduzione del 24% degli sciatori. Lo sci deve inoltre fronteggiare l’insorgenza, rapidissima nel suo aggravarsi, di imponenti modificazioni climatiche: la riduzione della precipitazione nevosa ha raggiunto il 18,7% medio sull’arco alpino, ma nelle Alpi orientali veneto-friulane il 35%, con punte superiori al 50%, per esempio a Forni di Sopra (e a Cortina); un recente studio promosso dall’UNEP (United Nations Environment Programme) avverte che nel prossimo futuro una percentuale compresa tra il 37% e il 56% delle stazioni invernali potrebbe soffrire di un innevamento a tal punto ridotto da comprometterne la capacità di attirare turismo sciistico.
[…] L’attività imprenditoriale e quella amministrativa devono inserirsi in modo non riluttante ed elusivo entro il quadro normativo tracciato dalle Direttive 409/79/CEE (Uccelli), 92/43/CEE (Habitat) e 60/2000/CE (Acque), dalle Convenzioni Europee sul Paesaggio e sulle Alpi (e dal Protocollo Turismo che è in quest’ultima ricompreso), nonché dalle Direttive 85/337/CEE e 42/2001/CE sulle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale e di Valutazione Ambientale Strategica. […] Nel campo del turismo invernale la Regione FVG ha affidato alla Promotur spa, costituitasi nel 1986, gli interventi di costruzione di impianti e di gestione degli stessi nei cinque poli sciistici regionali: Piancavallo, Zoncolan-Ravascletto, Forni di Sopra, Tarvisio-Lussari, Sella Nevea. […] Una disamina – di sintesi e non esaustiva – degli interventi per polo sciistico evidenzia che a:
Piancavallo – Il piano industriale 2003-2006 ha portato alla realizzazione delle nuove seggiovie Tremol 1 e Tremol 2 e alle modifiche e allargamento delle piste asservite (Sauc 2, Salomon e Nazionale Alta). Il piano industriale 2006-2010 prevede il potenziamento e l’estensione dell’area Colalto con la sostituzione della esistente sciovia, l’ampliamento dell’area sciistica destinata a campo scuola, l’ampliamento degli impianti ludici, nonché la realizzazione della nuova area Tremol Corner con realizzazione di una nuova seggiovia quadriposto, e tre nuove piste, in area boscata a vincolo elevato. Totale investimenti: 17.290.000.
[…]
Sella Nevea – L’intervento più significativo del triennio 2003-06 è stato la realizzazione della seggiovia Gilberti in area Canin. Il piano 2006-2010 progetta imponenti modifiche della stazione in funzione soprattutto del collegamento con il polo sciistico sloveno di Bovec. Nell’area Canin-Sella Nevea sono previsti dunque la sostituzione della funivia Canin, la sostituzione delle sciovie Poviz e il miglioramento delle piste asservite; nell’area Prevala, di grandissimo rilievo ambientale, paesaggistico e storico e ad elevato livello di vincolo, un nuovo impianto Gilberti (stazione a monte della funivia del Canin)-Sella Prevala, in direzione Bovez, e una nuova pista a Sella Prevala stessa. Al proposito non si può omettere di ricordare che i problemi del polo di Sella Nevea sono in discussione almeno dal 1975, anno in cui un evento valanghivo di notevole portata ha costretto le autorità a porsi il problema delle possibilità di ulteriore sviluppo degli impianti e degli insediamenti in condizioni di sicurezza. La Commissione all’uopo istituita dalla Regione, composta fra gli altri anche dai massimi esperti europei di neve e valanghe di Davos e Grenoble, ha concluso il suo documento tecnico sentenziando che “Sella Nevea è indifendibile” a meno di costruire opere dall’enorme costo economico e ambientale. Ciò vale in particolare anche per il proposto arroccamento verso Sella Prevala che insistentemente viene annunciato in spregio ad ogni ragionevole considerazione. Per non parlare della ferita ancora aperta sul versante del Montasio, inferta con l’apertura della Pista “Al Sole” subito abbandonata al degrado e costruita contro ogni saggio parere e considerazione tecnico-scientifica, abbattendo molti ettari di bosco dotato oltretutto di una preziosa funzione antivalanga. Totale investimenti: 33.880.000. […] Ulteriore, gravissimo problema è quello rappresentato dagli impatti ambientali che verrebbero a determinarsi, in conseguenza alla realizzazione degli interventi citati, in particolare a:
- Passo Pramollo, allo stato attuale in condizioni di integrità paesaggistica ed ambientale (interferenza con SIC IT230003 Creta d’Aip e Sella di Lanza, con SIC IT230004 Monte Aurenig e Monte Corona, con ZPS IT3321001 Alpi Carniche, con IBA 047 Alpi Carniche e con IBA 205 Foresta di Tarvisio e Prealpi Giulie, con biotopo regionale “torbiera di Pramollo”);
- Sella Prevala al Canin, patrimonio non solo naturalistico, ma anche storico dell’intera comunità nazionale, incluso nel Parco regionale delle Prealpi Giulie (interferenza con SIC IT2320012 Prealpi Giulie, con ZPS IT3321002 Alpi Giulie, con IBA 205 Foresta di Tarvisio e Prealpi Giulie);
- Monte Tamai (interferenza con IBA 206 Valle del Torrente But, e 043 Alpi Carniche);
- Gruppo del Monte Cavallo con proiezione del demanio sciabile in direzione della Foresta del Cansiglio (la cui porzione friulana risulta parzialmente tutelata da SIC IT 3310006 nonché dall’IBA 047 Prealpi Carniche) e dell’Alpago;
- Monte Lussari con compromissione del borgo storico (interferenza con SIC IT2320010 Jof Montasio e Jof Fuart, con ZPS IT3321002 Alpi Giulie, con IBA 205 Foresta di Tarvisio e Prealpi Giulie);
- Monte Varmost, ai margini del Parco Regionale della Dolomiti Friulane (interferenza con SIC IT2320007 Monte Bivera e Monte Clapsavon e con IBA 047 Prealpi Carniche).
A fronte del quadro esaminato emerge la necessità di individuare un nuovo punto di equilibrio tra turismo invernale e tutela dell’ambiente alpino. Il Friuli Venezia Giulia appare regione vocata ad individuare e ad indicare tale nuovo punto di equilibrio. È infatti regione caratterizzata per un verso da modesta pressione antropica (1.200.000 ab su 7846 kmq), da estrema varietà ecologica (il FVG è inserito in tutte e tre le aree biogeografiche di cui alla Direttiva Habitat, e cioè nelle aree alpina, continentale e mediterranea), da un ambiente e da un paesaggio ancora relativamente intatti, e per altro verso dalla condizione di marginalità economica delle stazioni sciistiche presenti sul territorio, che difficilmente possono proporsi come alternative concorrenziali – soprattutto sul piano della fruizione vacanziera e cioè prolungata – rispetto a stazioni di più consolidato impianto. È regione nella quale, dunque, i programmi di sostegno al turismo montano dovrebbero evitare di riproporre modelli comunque ansimanti sotto il profilo economico e della logica di mercato e devastanti sotto quello ambientale e paesaggistico e perciò estranei ad un quadro normativo europeo che si va consolidando e va diventando sempre più strettamente cogente per gli Stati membri. L’adozione di una prospettiva di medio-lungo periodo, di una logica imprenditoriale più aggiornata e dinamica, di una maggiore attenzione collettiva ai temi della sostenibilità, suggeriscono di:
- attuare pienamente le Direttive Habitat e Uccelli, completando la designazione degli elementi di Rete Natura 2000, garantendo ad essi tutela attiva e passiva e costanza di monitoraggio e di sorveglianza;
- porre in essere, ai sensi della Direttiva Acqua, politiche funzionali a garantire la buona qualità ecologica e chimica dei corpi idrici superficiali, anche attraverso la predisposizione di bilanci idrici che valutino l’impatto dell’utilizzo della risorsa per l’innevamento artificiale sulla disponibilità generale della risorsa stessa;
- procedere ad una corretta pianificazione paesaggistica fondata su una imponente rete di invarianti, da costituire quale rete di infrastrutturazione ecologica del territorio;
- promuovere la formazione di linee guida e di indicatori regionali per la sostenibilità del turismo alpino con analisi economiche che consentano di valutare e ridefinire correttamente il costo per l’uso e il consumo delle risorse ambientali;
- redigere piani di sviluppo turistico regionali partecipati con il concorso di amministratori, operatori economici, associazioni ambientaliste e alpinistiche e mondo della ricerca, che tengano conto delle linee guida e degli indicatori di cui al punto precedente e delle interazioni tra attività turistiche ed aree a vario titolo tutelate e che consentano di varare programmi di investimento economico adeguati a nuove esigenze e aspettative del turismo montano;
- promuovere, di conseguenza ed in tale ottica, la sottoscrizione del Protocollo Turismo della Convenzione delle Alpi e far proprie le misure in esso previste;
- con riferimento a quest’ultime suggeriscono in particolare di riorientare gli investimenti pubblici nel senso di avviare, in concorso con gli operatori economici interessati, la conversione degli impianti e delle stazioni sciistiche a politiche non più volte alla espansione quantitativa dell’offerta, ma ad un suo miglioramento qualitativo finalizzato principalmente a garantire il rispetto ambientale della pratica turistica: la qualità ambientale del territorio (e dunque, fuor da ipocrisie, la sua integrità) deve e può costituirsi come il valore aggiunto dell’offerta turistica del Friuli Venezia Giulia, nella sua concorrenziale alterità rispetto ad offerte turistiche che vengano da altri settori del comprensorio alpino;
- anche in quest’ottica suggeriscono di evitare nel modo più assoluto che le soluzioni di impiantistica, infrastrutturali ed edilizie al servizio del turismo invernale vengano a confliggere – come spesso accade, e per esempio quando la sentieristica in essere viene travolta dalla realizzazione di piste per lo sci – con le esigenze del turismo montano estivo, variabile alla quale far riferimento in modo sempre più convinto nel quadro della programmazione economica del turismo di montagna;
- sottoporre a corretta e non elusiva procedura di valutazione ambientale di impatto, strategica e di incidenza i piani, i progetti, gli interventi; e dunque, ad esempio, suggeriscono di non applicare la procedura di Via a segmenti di progetto, in assenza di un quadro complessivo di medio lungo periodo delle trasformazioni avvenute e di quelle che possono ipotizzarsi; di includere nel campo della Valutazione di Incidenza le aree IBA; di utilizzare la Valutazione Strategica nella stessa elaborazione dei piani di sviluppo economici, come ad esempio il piano industriale della Promotur;
[…]
- qualificare gli interventi e la gestione degli impianti nel senso di un loro inserimento ecologico e paesaggistico;
- inserire nei finanziamenti previsti dal Quadro Comunitario di sostegno 2007-2012 (FESR, FSE, Fondo di Coesione, programma INTERREG, e del nuovo Fondo Unico dipendente dalla politica agricola comune) fondi specifici per agevolare direttamente o indirettamente l’attuazione di quanto previsto dalla Convenzione delle Alpi e dai diversi specifici protocolli;
- adottare, da parte delle amministrazioni pubbliche e degli operatori turistici alpini, le proposte indicate dal Patto per Kyoto, formato da associazioni ambientaliste e da altri soggetti, che favoriscono il risparmio energetico e lo sviluppo di un mercato dell’energia efficiente, rinnovabile e a basso impatto ambientale, sia a livello nazionale che locale.
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